giovedì 4 gennaio 2007

Cose che Capitano


Questa sera, dopo aver finito di dare il mio “indispensabile” contributo alla collettività e di giustificare il mio “lauto” stipendio mensile, ho fatto una di quelle cose che mi rendono più felice: ho bevuto un paio di birre in compagnia dei miei amici della Nord. Una mezz'ora giusta giusta, quella che mi è consentita di tanto in tanto dalla mia padrona e che mi godo secondo per secondo. Tra un boccale di birra, qualche calice di rosso, un paio di inusuali Martini secchi, sbafando pizzette e focaccine farcite, si è parlato della nostra vecchia amata U.S. Imperia 1923 e della nostra curva. All'improvviso, è comparso un gradito ospite, proveniente dal basso Piemonte dove, suo malgrado, da un mesetto circa, è stato mandato in esilio dal Master ed i suoi adepti: per carità, un esilio dorato, ma pur sempre un esilio da quella che è la sua squadra e la sua città, dove ha gli affetti più cari e dove, tra qualche giorno, nascerà il suo secondo erede. Parlo, chiaramente, del Capitano e per Capitano con la C maiuscola parlo di Giambo. Per sua informazione, ma sotto sotto credo lo sappia, uso la maiuscola di rado; tra quelli che ho avuto il piacere di conoscere in tre decenni, per me la meritano in pochi: di getto, penso a “Lando” Landini, a “Scheggia” Schiesaro, a Guido Calzia ed a Michele Sbravati, uomini che hanno lasciato un segno indelebile nella storia recente dell'U.S. Imperia 1923.

A distanza di un mese ancora non capisco, si fa per dire, la scelta di cacciarlo dalla rosa nerazzurra: indispensabile a centrocampo, fondamentale all'interno e fuori dello spogliatoio, non credo tra quelli il cui rimborso spese fosse il più oneroso per le magre casse della società di Piazza d'Armi, è stato fatto fuori in un attimo, dopo un primo preavviso, senza che nessuno, se non i ragazzi della Nord, abbia mosso un dito o levato qualche obiezione. Eppure Giambo era il Capitano, il riferimento per tutti, l'uomo di mille battaglie: presente in tutta la parabola dell'era d'oro di Pino Cipolla (per me il Presidente... ed ecco un'altra maiuscola), dalla cena a San Lazzaro che segnò la svolta di quel primo anno di CND fino al drammatico spareggio di Novara, passando per il trionfo di Aosta, dal ritorno a casa in quella polemica domenica di Varazze al trionfo di Pontedecimo.

Non voglio certo ora beatificarlo, perché di “Santi subito” non ne voglio più proclamare e perché, come lui ben sa, almeno un errore, per me imperdonabile lo ha commesso, indossando la maglietta biancobuzzurra, un macchia indelebile che neppure anni di candeggio potrebbe cancellare. E poi, quella linguaccia, quella voglia sempre di parlare, di non stare mai zitto in campo e fuori, che, probabilmente, gli ha nuociuto. Con il sottoscritto, per questa ragione, una domenica ci siamo mandati simpaticamente a quel paese, anzi, in verità fu lui ad invitarmi ad andarci... ma io a Sanremo non ci sono andato e mai ci andrò. Ma da innamorati dei colori nerazzurri, ci siamo chiariti e tutto è finito lì.

Giambo, sai che noi ti avevamo avvertito, quando ti arrampicavi sugli specchi per difendere chi è indifendibile, ed alla fine ci abbiamo rimesso tutti, forse più noi di te.

Se è vero che a volte ritornano, io continuo a sperarlo, anche se prima vorrei che qualcun'altro facesse il viaggio inverso e tornasse da dove è venuto.

Giambo, mio Capitano, ti aspetto di nuovo sotto la Nord, con la fascia al braccio, per fare festa ancora una volta insieme... altrimenti, male che va, ci facciamo una Paulaner insieme, ok?

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